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lunque ricerca che ne facessimo, aver nuova alcuna di mio padre. Passammo quindi a Livorno ove mia madre, raccolto qualche misero avanzo d’una Eredità stata dilapidata, fuggendo l’inumanità de’ suoi parenti, venne a stabilirsi qui in Genova, ove è vissuta quasi sempre, e tuttavia vive cagionevole, ed obbligata al letto.

Ans. Che ascolto? chi mi darà forza di reggere a tanta allegrezza? Figli cari, miei figli lasciate ch’io vi abbracci.

Val. Come, Signore? voi siete nostro padre?

Mar. Voi quello, che mia madre ha pianto sì lungamente?

Ans. Sì, figli miei cari, io sono quello stesso, salvato dalle onde fortunatamente con tutte le ricchezze che meco avea: che, dopo di avere per lo spazio di sedici anni pianta la morte di voi e della mia cara consorte, mi preparava a cercare, unendomi ad una prudente e savia giovane, la consolazione d'una nuova famiglia. I pericoli, ch’io aveva corsi in Napoli, mi fecero rinunziare al disegno di mai più ritornarvi; ed avendo trovato il mezzo di vendere tutto ciò ch’io colà possedeva, mi sono stabilito in questa città sotto il nome di Anselmo, rinunziando al mio primo e vero nome, sotto del quale ho sofferti tanti disastri.