Ed ora la conclusione generale. Tutto ciò che è veramente caratteristico dei dialetti gallo-italici, ricorre anche nel genovese; e vuol dire un complesso di fenomeni, che non si risolvon già in mere alterazioni o in fasi particolari di maggiore o minore integrità latina, ma sì in vere e specifiche trasformazioni che il substrato gallico fa subire alla parola di Roma. All’incontro, nulla ricorre nel genovese di ciò che è specifico delle isole del napoletano (come dd = ll, rr = rn, mm = mb, nn = nd; ecc.). Il genovese, o diciamo addirittura il ligure, ha fisionomia sua propria, e dee tenere un posto distinto nel sistema dei dialetti italiani; ma deve insieme annoverarvisi fra i gruppi gallo-italici. Egli si ferma, in ordine alle átone finali, ad uno stadio che la maggior parte delle altre favelle gallo-italiche ha sorpassato in tempi diversi, e con ciò rasenta la condizione dei dialetti isolani. Coincide con questi in parecchi importanti fenomeni, per il fatto che tra i dialetti sardi ed i córsi si determina una transizione dal tipo della favella italiana del mezzodì a quello della favella italiana del nord. Coincide con le isole per la particolare energia del j implicato, la quale, per altro, non costituisce un fenomeno specifico, e importa fortuitamente la particolar coincidenza, tra ligure e siciliano, rispetto agli esiti di PL ecc. Ma entra il ligure, col córso, col sardo meridionale e col toscano, in un’orbita dello ż e dello ṡ, intorno alla quale restan molte indagini da compiere.
Nessuno, che abbia pratica di simili studj, vorrà dubitare che le ragioni morfologiche, in quanto pur vadano al di là dei limiti della fonologia vera e propria, o pur le sintattiche (dove in ispecie si considera la maggiore o minore abondanza dei pronomi ridondanti), e finalmente le ragioni lessicali, in quanto possano entrare in simili quesiti, non debban tutte perfettamente corrispondere alle conclusioni ricavate dalle teoriche dei suoni. Pure, la riprova non sarà superflua, e speriamo che non abbia a tardare. G. I. A.