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« Per queste donca e monte atre simile caxom è parsuo bem a lo illustie meser lo duxe e magnifici antiaim e officiali de la bairia de farve convocar cocì, per conseiar in questa materia e considerar se è bem, aora che lo nostro inimigo duca de Milan è occupao in altro e che le cose nostre de oltrazogo sum per la gracia de De redute a bom termem e che voi avei bornia fantaria e cavalli bem in ordem, veniar tante vergogne e dani e far bonna guerra a lo dicto Galeotto, o se meio lassar star. Perchè cascum de voi ha a far bom e savio pensamento e conseiar se a lo presente se dè far questa guerra a lo dicto Galeoto o non ».


Qui il cancelliere si tacque e sorse a parlare Raffaele Pernice, il quale, « invocato l'aiuto di Dio, come è buona usanza », sebbene constatasse che l'erario della Repubblica non fosse in floride condizioni, pure lo riteneva ancoia sufficiente a sostenere la nuova impresa; voleva però che si mettesse in disparte ogni discordia intestina, perchè spesso l’essere del colore bianco o nero era sufficiente a sospendere o neutralizzare gli effetti di una giusta vendetta, dandosi a divedere che non l’amor di patria prevaleva nei giudizii, ma lo spirito di partito, « ciò che era demenza ed errore sommo ». Conchiudeva auspicando che tutti i cittadini si accingessero a questa guerra con forte animo, per i molti vantaggi che ne avrebbero potuto ricavare. Gli tenne dietro Paolo di Oneglia, notaio, il quale, salito alla tribuna, si meravigliò che troppo pochi prendessero la parola in un affare di tanta impor­tanza, suscitando, così, un senso di stupore nei cittadini. In fine lodò il pro­posito di formare un grosso esercito, per mandarlo contro Finale, essendo quel paese pubblico e notorio nemico di Genova. Vennero fuori allora altri cittadini. Vincenzo Lomellini gettò acqua nel fuoco, perchè voleva mandare quattro cittadini a Galeotto ed ai suoi popoli, per convincerlo a desistere dall’atteggiamento preso contro Genova, auguran­dosi che, se non il Marchese, i popoli almeno non avrebbero permesso, pro­prio nel tempo della raccolta, si esponesse la loro terra alla distruzione, per seguire i capricci del loro Signore. Ingone Grimaldi, invece, fu per la guerra a fondo, per togliere a Galeotto ogni occasione di mettere a repentaglio il prestigio della Repubblica. Bar­tolomeo Parisolla, più enfatico, si meravigliò che non sorgessero gli astanti tutti per gridare morte a Galeotto; egli avrebbe voluto che senza indugio si fosse proceduto contro di lui e dei suoi complici. Battista Rocca, notaio, suggerì che i preparativi della guerra si faccessero in tempo, nel modo voluto dal Doge e dall’ufficio di Balia, i quali avevano piena notizia degli avvenimenti in corso. Nicolò Giustiniani raccontò che, essendo capitano della libertà, tanto lui che i suoi colleghi si erano sforzati di ridurre all’amore di Genova Galeotto senza riuscirvi. Antonio di Diano, chirurgo, che era stato molto tempo nella Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2012