Archivio Glottologico Italiano, vol. II, 1876/Lagomaggiore, Rime genovesi della fine del secolo XIII e del principio del XIV/premessa

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Lagomaggiore, Rime genovesi della fine del secolo XIII e del principio del XIV Lagomaggiore, Rime genovesi della fine del secolo XIII e del principio del XIV - I.

[p. 161 modifica]     Questo primo saggio degli studj che vo facendo sul mio dialetto ligure, comprende e tenta illustrare una serie di rime in antico genovese, della fine del secolo XIII e del principio del XIV. I componimenti di cui parlo, fonte copioso e puro dell’antica favella di Genova, sono contenuti in un codice del signor avv. A. Molfino, deputato al parlamento nazionale, cui mi è grato qui esprimere la molta mia riconoscenza per la compita gentilezza con cui mi accolse, provvedendomi di ogni comodità per trascriverli e dandomi facoltà di pubblicarli come e quando io volessi. E delle Rime e del loro incognito autore, ragionò lo Spotorno nel primo volume della sua Storia letteraria della Liguria, pubblicatosi nel 1824 (p. 280 e seg.). Nel 1840 le esaminò il prof. Bonaini, e ne estrasse, coadiuvato dall’avv. C. L. Bixio di Genova, dodici componimenti storici (dieci in volgare e due in latino), che furono inseriti nell’Archivio Storico Italiano (append., voi. IV, n. 18; del 1847). Il rimanente è inedito.

Io ora premetterò una breve descrizione del ms., e qualche cenno sul modo da me tenuto nel pubblicarlo. Darò poi il testo delle Rime; e fatte a questo seguire alcune notizie sull’autore, mi proverò ad offrire un saggio storico sulla fonetica genovese, ed altre illustrazioni.

Il ms. é «in pergamena, di carattere antico e probabilmente coetaneo all’Autore» (Spotorno, p. 281). Consta di due parti, o, per meglio dire, sono due codici in uno, come già vide il Bonaini. Il secondo e più breve codice, anch’esso in pergamena, si riconosce a prima vista dai caratteri mutati, che sono men regolari e di aspetto più moderno. Questo secondo codice non è compreso nella presente edizione. Sì l’uno che l’altro ha due cartolazioni: l’una più antica in cifre romane, l’altra in arabiche; alle quali n’è stata aggiunta una terza a matita, forse recentemente, da alcuno degli esploratori del codice, per numerare le pagine superstiti. Ma non direi col Bonaini che la seconda o nuova cartolazione sia stata apposta per fare un sol codice di due che erano (Arch. stor., 1. c.); poichè séguita anche l’antica, sebbene con l’intervallo di tredici numeri, nel 2° codice. A me pare che lo scopo della nuova cart. fosse di escludere tutte le carte perdute del 1.° e del 2.° cod., e di comprenderne altre, forse avanzo d’un 3.° codice, che l’autore della nuova cart., a quel ch’io penso, avrà alligate in principio del 1.°. Queste saranno poscia state distrutte, com’è avvenuto d’altre carte del 1.° cod. che ancora esistevano al tempo che fu fatta la nuova cart., e delle quali or ora [p. 162 modifica]darò il novero; e le nuove lacune hanno finalmente dato motivo alla terza e ultima numerazione di cui sopra. La mia opinione si fonda sul num. 10 di n. c. che è segnato sulla prima pag. del 1.° cod. (al quale segue poi l’11 nella seconda, e così via) laddove il num. dell’a. c. è vi, e nel continuarsi che fa la nuova cart. in più luoghi ove l’antica è interrotta. Con ciò è chiarita, del resto, la differenza, ora in più, ora in meno, della 1.a cart. dalla 2.a; chè, p. es., in principio del 1.° cod. la nuova è avvantaggiata di quattro numeri sull’antica, e nell’ultime carte le resta addietro di sei.      Rimangono al 1.° codice carte 67 (134 pagine), delle quali 6 e mezzo comprendono ritmi latini, pressochè tutti di soggetto sacro, esclusi dalla mia pubblicazione. Il novero delle carte mancanti al 1.° cod., secondo l’antica cartolazione, è il seguente: le prime cinque; indi quelle che portavano i n. xvi; xx; xxi; xxxii, xxxiii, xxxiv, xxxv, xxxvi (questa lacuna di cinque carte fa séguito ai ritmi lat.); xl; xli; xlii; xliii; xliv; li; lvi; lx; lxv; lxvi; lxvii; lxviii; lxix; lxx; lxxi; lxxii; xcii; xciii; xcvii; xcviii; xcix; c; ci; cii; ciii; civ; cv; cvi; totale carte 41.      L’ultima carta del 1° cod. è la cviiii; onde, sottratte le mancanti, restano carte 67. Soggiungo ora i numeri delle carte mancanti della nuova cartolazione, oltre le prime nove: 20; 24; 25; 36; 37; 38; 39; 40; 45; 46; 47; 48; 55; 60; 64; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 96; 97; totale carte 23, e computando le 9 in principio: 32. Nell’ultima pag. (c. cviiii), dopo il componimento cxxxviii ed ultimo, rimane ancora una colonna e mezzo in bianco, senza però alcun segno che indichi la fine del codice. Nella carta appresso comincia il 2° codice; e quivi il numero della n. c. è 104, ma l’a. c. salta dal cviiii al cxxiii; laonde, come già accennai, mancano in principio del 2.° cod. carte 13. Ne manca pure la fine; e dopo le 14 carte superstiti, vi rimane ancora un frammento di un’altra, scritto anch’esso [1].      Il 1.° cod., fino a c. lxxxxiiii a. c. esclus., è a due colonne; e incominciando da c. lxxxxiiii, ne ha tre. [Il 2° cod, è a due colonne.] Ora, siccome mancano le due carte precedenti (lxxxxii e lxxxxiii), si potrebbe sospettare che vi avesse principio un altro codice; ma il tutto essendo omogeneo, sì nella lettera e sì nella grafia, mostra di essere stato vergato da una sola mano. Il bisogno di economizzare lo spazio, acciò la pergamena bastasse a tutta la copia, avrà indotto, a un certo punto, il nostro amanuense ad aggiungere una colonna di più.      Che il nostro cod. non sia l’originale, ma una copia, e di copista ignorante, è troppo manifesto dai titoli latini de’ componimenti volgari, troppo spropositati per imputarli all’autore, il quale appare uomo culto, secondo i tempi. Que’ titoli li avrà scritti l’autore con cifre e abbreviature molte, non intese dall’amanuense. E pur de’ ritmi latini gli errori più grossolani sono da imputarsi al copista, il quale ne commette anche non di rado, e taluni molto strani, nella scrittura volgare. I ritmi latini sono inserti tra i componimenti volgari. Cominciano a c. xxv a. c. tergo, e terminano a c. xxxi a. c. tergo. Qui mancano carte 5, come già vedemmo, e a c. xxxvii a. c. ricominciano le rime volgari.      Il numero dei [p. 163 modifica]componimenti superstiti del 1.o cod. (non compresi i latini) è di 138; di parecchi manca il principio, il mezzo, o la fine, per le lacune del codice. La scrittura in generale è chiara, eccettuate alcune pagine in cui l’inchiostro è sbiadito. I caratteri adoprati sono quelli del comune alfabeto latino, compreso J, escluso V, aggiunto il C colla cediglia (ç); e a suo luogo noi tratteremo del valor fonetico che alle ortografìe di questo codice si deve attribuire. Esso manca naturalmente di punteggiatura, di apostrofi, di accenti. Le majuscole non sono usate d’ordinario che in principio dei componimenti o a capo del verso. Parola rinchiusa tra questi due segni // // vuol essere trasposta, essendo stata scritta per isbaglio dall’amanuense prima di quella o quelle cui deve seguire. Il puntino sottoposto a una lettera o a più lettere, equivale a una cancellatura. Lo stesso ufficio, ma raramente, fanno due puntini, l’uno a diritta, l’altro a sinistra della lettera; o una croce. Tien luogo del puntino dell’i una curva, che s’innalza come un principio di parabola. Ma spesso manca, e allora l’i può parere un r. Talvolta non si discernon bene tra di loro l’e e l’o. E talfiata si vede un œ, ma dev’essere correzione di o in e, o simile. Le cifre e abbreviature de’ titoli lat. sono più numerose, più capricciose; e, congiunte con errori di lingua, li rendono talvolta inintelligibili. Delle sigle usuali mi limiterò ad avvertire la linea in tralíce, sormontata alle due estremità da altre due linee diritte e volgenti a destra, = ru (benast"o = benastruo), e talvolta (ma raramente) = re (vent"sca = ventresca).

Io riproduco fedelmente il codice, con tutti i suoi errori, anche i più grossolani, eccetto quelli che sono additati, coi segni che dicemmo, dallo stesso amanuense. In tutta la penosa trascrizione ho adoprata quella maggior diligenza di cui sono stato capace; e dopo aver compita, colla attenzione più scrupolosa l’intiera copia, la ripassai verso per verso sul codice, correggendo nella stessa revisione anche le rime già pubblicate nell’Archivio storico, che ricompajono al loro posto nella presente edizione. Ma per quanto mi sia stata a cuore la riproduzione fedele del mio testo, mi è parso tuttavolta di dover qualche cosa concedere al naturai desiderio di renderne più facile la intelligenza o meno molesta la lettura. A questo fine ho introdotto: 1.° la più accurata punteggiatura che mi è stato possibile;- 2.° le majuscole nei nomi proprj (segnatamente per distinguere de ’Dio’ da de prep. e de verbo ’deve’, ’diede’;- 3.° la distinzione tra u e v, circa la quale non mi restavan dubbj se non in pochissimi casi;- 4.° la giusta distribuzione delle sillabe e lettere secondo le parole a cui spettano, là dove nel ms. stavano aggregate secondo i suggerimenti dell’orecchio od a capriccio, anziché secondo il senso; non senza riportare in nota la scrizione del ms., quando paresse straordinaria o il mutarla lasciasse luogo a qualche ragionevole dubbio. Va poi da sè che ho risolto le sigle e cifre d’ogni sorta, mandando però fra le noterelle appiè di pagina tutto quello che fosse o dubbio o insolito.      In queste noterelle volli poi segnar principalmente tutte le lezioni più o meno incerte, e tutte le anomalie notabili del ms. Inoltre vi offro o propongo la correzione di forme evidentemente errate per isbaglio dell’amanuense, o di passi che non danno senso; oppure mi contento di avvertirvi che il passo mi paia gravemente difettoso o scorretto, senza spender parole in cerca d’una correzione troppo [p. 164 modifica]congetturale. Che se avessi voluto notare tutto ciò che è o pare errato nella forma o nella sintassi, oppur tutte le forme e parole della cui genuinità si può fondatamente dubitare, e cercar di correggere tutte le rime e raggiustare tutti i versi falliti, questa parte del lavoro sarebbe cresciuta a dismisura e con molto scarsa utilità. Del resto, di certe scrizioni, erronee sì, ma frequenti (p. es. di r aggiuntosi in fine di parola senza alcun valore), si dovrà riparlare nelle illustrazioni fonologiche.

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  1. In fine del 2.° cod. sono cucite 6 carte [non più membranacee], che contengono una copia recente di due o tre componimenti del ms.; copia non esatta e ammodernata.